Nuova cultura dell’olio
Con la frangitura 2001/2002 tredici aziende agricole di 9 regioni italiane produrranno più oli monocultivar raccogliendo e frangendo separatamente le olive secondo la cultivar autoctona e lavorando solo la polpa con sistema continuo integrale a 2 o 3 fasi. La ricerca scientifica ha dimostrato che i principi benefici dell’oliva, i polifenoli ad esempio, sono soprattutto nella polpa e nell’acqua di vegetazione. Ci troviamo di fronte a un nuovo e rivoluzionario modo di fare l’olio che permetterà di produrre oli sani, dai profumi e sapori diversissimi a seconda del luogo di coltivazione (lavorando polpa e nocciolo insieme, come avviene oggi, vengono coperti sapori e profumi). Un patrimonio inestimabile: in Italia si contano circa 500 varietà di olive autoctone diverse. Nessun altro paese, compreso tra il 300 e il 450 parallelo, dispone di una ricchezza così grande. Con questo nuovo sistema di coltivazione e di trasformazione si avranno oli monocultivar in purezza con sapori e
profumi unici, legati alla tipicità dei luoghi; oli che lo chef potrà assemblare a piacimento nei piatti creando nuovi gusti. Per i contadini tutto ciò si tradurrà in una grande opportunità di guadagno perché gli oli monocultivar denocciolati avranno una remunerazione 50 volte superiore a quella attuale (oggi per l’olio lampante, il contadino riceve dall’oleificio circa 1.000 lire al litro, una cifra assurda). Si aprirà un nuovo mercato di reale qualità che porterà all’economia italiana un’immensa ricchezza. Le aziende agricole italiane, circa un milione secondo i dati ISTAT, potranno finalmente vivere di quello che producono. Attualmente la produzione di olio d’oliva non è sufficiente al fabbisogno mondiale, il mercato è quindi pronto ad assorbire i nuovi grandi oli italiani. Regioni come la Calabria, particolarmente vocata alla produzione di olive, con i soli proventi dell’olio registrerà un fatturato superiore a quello della Lombardia. Un fatturato destinato a confermarsi nel tempo. Tutto ciò potrà avvenire se si metterà pratica alla lettera il “Manifesto in progress, per una nuova cultura dell’olio d’oliva” di Luigi Veronelli (vedi EV 59 e 61), frangendo cultivar per cultivar e riducendo le rese. Una volta realizzato questo si tratterà di garantire la tracciabilità del prodotto, certificare cioè tutta la filiera produttiva, in modo da conoscere l’origine dell’olio e i processi subiti. Oggi ciò non avviene perché, grazie ad un mercato distorto e confuso, l’olio d’oliva deve competere con i prezzi dell’olio di semi, di cereali e di nocciola. Una vera assurdità! Sarebbe come se il vino dovesse competere con i prezzi della birra. Alloradobbiamo chiederci perché spendiamo 4/5 volte di più per comprare l’olio per il motore delle nostre auto (estratto dallo scarto del petrolio) che non per l’olio che usiamo per cucinare. Domandarci come è possibile pagare un chilo di olive denocciolate 19.000 lire e poi trovare l’olio extravergine venduto a 5/6.000 lire. Sapendo che per produrre un litro di olio extravergine sono necessari circa 5 chili di olive. (i costi di campagna dell’olio sono 5 volte più alti di quelli del vino; basti pensare che 100 chili di grandi uve danno circa 60nO litri di grande vino, mentre la stessa quantità di olive dà solo 12/15 litri di olio). È evidente che qualcosa non torna. Che gli oli che troviamo nei supermercati a questi prezzi sono il risultato di olive avariate e di correzioni chimiche di olio lampante. L’assurdità è che l’olio viene giudicato solo in base al grado di acidità (non percepibile al gusto); un pò come se distinguessimo i vini secondo la gradazione alcolica. li problema è che la legge consente di unire l’olio lampante rettificato, sottoposto ad un procedimento chimico che ne abbassa l’acidità e ne annulla sapore e profumo, ad oli extravergini. Di tagliare cioè oli extra vergini con oli lampanti rettificati a cui è stata azzerata l’acidità. Oli questi che possono al massimo andar bene per friggere (nella cottura molti sapori vengono comunque persi) ma non per condire.
Le prime aziende del nuovo olio
Non vuole essere un progetto d’elite quello della alloro, tutti gli olivicoltori, ovviamente, possono seguire i criteri del Manifesto in progress di Luigi Veronelli e, se vogliono, farsi certificare dalla Metaponto Agrobios. Però le aziende che per prime ne hanno capito l’importanza sono:
l’Azienda Agricola Comincioli di Puegnago del Garda (monocultivar da: leccino; casaliva);
Azienda Agricola Conti Guerrieri Rizzardi di Bardolino (monocultivar da: frantoio);
Azienda Agricola Domenico Ruffino di Varigotti Finale Ligure (monocultivar da: taggiasca; colombaia);
Fattoria di Felsina di Castelnuovo Berardenga (monocultivar da: frantoio; moraiolo);
Oliveto Fonte di Foiano di Castagneto Carducci (monocultivar: frantoio; moraiolo; leccino);
Azienda Agricola Forte di Castiglione d’Orcia (monocultivar da: frantoio; moraiolo; leccino);
Azienda Agricola Podere San Matteo di Scansano (monocultivar da: frantoio; moraiolo; leccino);
Azienda Agricola Villa della Genga di Spoleto (monocultivar da: moraiolo);
Azienda Agricola Le Balze di Paciano (monocultivar da: moraiolo);
Azienda Pezza della Pigna di Lama (monocultivar da: coratina; nociara; leccino);
Azienda Agricola Terre di Altomonte Venica/Caputo di Altomonte (monocultivar da: tondino; cassanese);
Azienda Agricola Fratelli Pinna di Ittiri (monocultivar da: bosana);
Azienda Agricola PIaneta di Mentì (monocultivar da: nocellara del Belice).
Con la frangitura 2001/2002 tredici aziende agricole di 9 regioni italiane produrranno più oli monocultivar raccogliendo e frangendo separatamente le olive secondo la cultivar autoctona e lavorando solo la polpa con sistema continuo integrale a 2 o 3 fasi. La ricerca scientifica ha dimostrato che i principi benefici dell’oliva, i polifenoli ad esempio, sono soprattutto nella polpa e nell’acqua di vegetazione. Ci troviamo di fronte a un nuovo e rivoluzionario modo di fare l’olio che permetterà di produrre oli sani, dai profumi e sapori diversissimi a seconda del luogo di coltivazione (lavorando polpa e nocciolo insieme, come avviene oggi, vengono coperti sapori e profumi). Un patrimonio inestimabile: in Italia si contano circa 500 varietà di olive autoctone diverse. Nessun altro paese, compreso tra il 300 e il 450 parallelo, dispone di una ricchezza così grande. Con questo nuovo sistema di coltivazione e di trasformazione si avranno oli monocultivar in purezza con sapori e
profumi unici, legati alla tipicità dei luoghi; oli che lo chef potrà assemblare a piacimento nei piatti creando nuovi gusti. Per i contadini tutto ciò si tradurrà in una grande opportunità di guadagno perché gli oli monocultivar denocciolati avranno una remunerazione 50 volte superiore a quella attuale (oggi per l’olio lampante, il contadino riceve dall’oleificio circa 1.000 lire al litro, una cifra assurda). Si aprirà un nuovo mercato di reale qualità che porterà all’economia italiana un’immensa ricchezza. Le aziende agricole italiane, circa un milione secondo i dati ISTAT, potranno finalmente vivere di quello che producono. Attualmente la produzione di olio d’oliva non è sufficiente al fabbisogno mondiale, il mercato è quindi pronto ad assorbire i nuovi grandi oli italiani. Regioni come la Calabria, particolarmente vocata alla produzione di olive, con i soli proventi dell’olio registrerà un fatturato superiore a quello della Lombardia. Un fatturato destinato a confermarsi nel tempo. Tutto ciò potrà avvenire se si metterà pratica alla lettera il “Manifesto in progress, per una nuova cultura dell’olio d’oliva” di Luigi Veronelli (vedi EV 59 e 61), frangendo cultivar per cultivar e riducendo le rese. Una volta realizzato questo si tratterà di garantire la tracciabilità del prodotto, certificare cioè tutta la filiera produttiva, in modo da conoscere l’origine dell’olio e i processi subiti. Oggi ciò non avviene perché, grazie ad un mercato distorto e confuso, l’olio d’oliva deve competere con i prezzi dell’olio di semi, di cereali e di nocciola. Una vera assurdità! Sarebbe come se il vino dovesse competere con i prezzi della birra. Alloradobbiamo chiederci perché spendiamo 4/5 volte di più per comprare l’olio per il motore delle nostre auto (estratto dallo scarto del petrolio) che non per l’olio che usiamo per cucinare. Domandarci come è possibile pagare un chilo di olive denocciolate 19.000 lire e poi trovare l’olio extravergine venduto a 5/6.000 lire. Sapendo che per produrre un litro di olio extravergine sono necessari circa 5 chili di olive. (i costi di campagna dell’olio sono 5 volte più alti di quelli del vino; basti pensare che 100 chili di grandi uve danno circa 60nO litri di grande vino, mentre la stessa quantità di olive dà solo 12/15 litri di olio). È evidente che qualcosa non torna. Che gli oli che troviamo nei supermercati a questi prezzi sono il risultato di olive avariate e di correzioni chimiche di olio lampante. L’assurdità è che l’olio viene giudicato solo in base al grado di acidità (non percepibile al gusto); un pò come se distinguessimo i vini secondo la gradazione alcolica. li problema è che la legge consente di unire l’olio lampante rettificato, sottoposto ad un procedimento chimico che ne abbassa l’acidità e ne annulla sapore e profumo, ad oli extravergini. Di tagliare cioè oli extra vergini con oli lampanti rettificati a cui è stata azzerata l’acidità. Oli questi che possono al massimo andar bene per friggere (nella cottura molti sapori vengono comunque persi) ma non per condire.
Le prime aziende del nuovo olio
Non vuole essere un progetto d’elite quello della alloro, tutti gli olivicoltori, ovviamente, possono seguire i criteri del Manifesto in progress di Luigi Veronelli e, se vogliono, farsi certificare dalla Metaponto Agrobios. Però le aziende che per prime ne hanno capito l’importanza sono:
l’Azienda Agricola Comincioli di Puegnago del Garda (monocultivar da: leccino; casaliva);
Azienda Agricola Conti Guerrieri Rizzardi di Bardolino (monocultivar da: frantoio);
Azienda Agricola Domenico Ruffino di Varigotti Finale Ligure (monocultivar da: taggiasca; colombaia);
Fattoria di Felsina di Castelnuovo Berardenga (monocultivar da: frantoio; moraiolo);
Oliveto Fonte di Foiano di Castagneto Carducci (monocultivar: frantoio; moraiolo; leccino);
Azienda Agricola Forte di Castiglione d’Orcia (monocultivar da: frantoio; moraiolo; leccino);
Azienda Agricola Podere San Matteo di Scansano (monocultivar da: frantoio; moraiolo; leccino);
Azienda Agricola Villa della Genga di Spoleto (monocultivar da: moraiolo);
Azienda Agricola Le Balze di Paciano (monocultivar da: moraiolo);
Azienda Pezza della Pigna di Lama (monocultivar da: coratina; nociara; leccino);
Azienda Agricola Terre di Altomonte Venica/Caputo di Altomonte (monocultivar da: tondino; cassanese);
Azienda Agricola Fratelli Pinna di Ittiri (monocultivar da: bosana);
Azienda Agricola PIaneta di Mentì (monocultivar da: nocellara del Belice).