Edizioni Veronelli
Ottobre 2003
Commento alle tesi del professor Fontanazza
Edizioni Veronelli n° 73, Luigi Veronelli
In letteratura fontanazzo o fontanazza, è detta la fuoriuscita di acqua torbida dalla scarpa esterna di un argine; costituisce un gravissimo pericolo per la conservazione dell’argine stesso. M’è tornato in mente - il gravissimo pericolo - alla lettura delle tesi olearie del Professor Giuseppe Fontanazza del Centro Nazionale Ricerche di Perugia.
Sono infatti convinto che partire - come fa l’esimio professore - con l’idea di adeguare le strategie colturali e la geometria della campagna per favorire l’economia di mercato con prezzi che siano concorrenziali con quelli di altri paesi, faccia un danno enorme alla nostra olivicoltura.
La sperimentazione puntata ad ottenere un prodotto quantitativamente superiore e a costi più bassi, trascurando la qualità - qui, da noi, con le nostre colline, le montagne, le esposizioni, quant’altro -non è più sperimentazione, è - mio il parere libero e fazioso - una vaccata.
Il professore - pensa tè - vorrebbe, con un colpo di bacchetta magica, eliminare i privilegiati pendii, le colline e le montagne e portare tutte le colture olivicole in pianura, piantare cultivar nate in laboratorio e con sesti di impianto comodi coltivati a monòcono.
Gran genio! Si utilizzerebbe così la potatura e la raccolta meccanizzata. Quel suo cultivar, bastardo quant’altri mai, non terrebbe conto del sistema pedoclimatico delle nostre zone, della consistenza dei terreni, e, peggio ancora, delle tradizioni e della tipicità dei luoghi dove vengono messe a dimora.
Non è producendo di più e a costi più bassi che si migliora la situazione olivicola italiana.
Così come è deleterio prendere ad esempio la Spagna, una nazione che non ha le 500 cultivar dell’Italia e che tende a produzioni monocordi, proprio per l’impossibilità di ottenere oli dai mille colori, profumi, sapori, caratteristiche organolettiche eccezionali come i nostri. Nessuna possibilità di concorrenza sul piano della qualità.
Un cosciente professore dal Centro Nazionale Ricerche, avrebbe l’obbligo di colpire le frodi più “eclatanti”.
Ad esempio quello tragico di concedere i contributi CEE per i quintali di olio prodotti (favorisce la produzione di oli di scarsa qualità) e non invece per pianta posseduta, risultante dal catasto terreni olivati.
Con ciò si alimentano i frantoiani truffaldini e si scardinano gli olivicoltori onesti. Le tecniche innovative devono limitarsi a forme più mirate di potatura, a forme di fertirrigazione, a completare gli oliveti con cùltivar autoctoni che danno un olio che rispetta la tipicità dei luoghi. Soprattutto tese a chiudere l’intera filiera di produzione all’interno della propria Azienda Agricola senza dover ricorrere agli enormi frantoi che mortificano la qualità dell’olio.
Ho letto con orrore la proposta del professor Fontanazza di mettere a dimora cultivar che abbiano una differente epoca di maturazione. Chiaro lo scopo: andare incontro alle esigenze dei grandi frantoi. Tutto al contrario. Il problema si risolve, non con l’impiano di cùltivar “mostruose”, bensì con l’eliminazione dei grandi frantoi, sociali e meno, e con l’istallazione di frantoi aziendali.
Proprio per questa insopprimibile tendenza e modernizzazione, sono varie le officine meccaniche che hanno in progetto e in produzione, frantoi piccoli (350 Kg/ora).
Last. La FS 17 del professore - come risulta da varie esperienze sul Lago di Garda - fa perdere la tipicità dell’olio gardesano, lontanissimo dalla cosiddetta tipicità d ogni cùltivar de lago.
Non bastasse, Sergio Perdini, famoso potatore benacense, ha rilevato che la conformazione della drupa (a ciliegia) fa si che vi sia un ristagno di acqua all’attaccatura del picciolo; il che provoca, in alcuni casi, la caduta della stessa.
In conclusione ribadisco: non sono i grandi numeri o la facilità di coltura a fare la qualità e quindi a migliorare la remunerazione del prodotto. Ogni Azienda Agricola chiuda invece, al proprio interno, l’intera filiera produttiva; raccolga a mano, ad invaiatura appena accennata, secondo cùltivar e franga nel più breve tempo possibile.
Si ripeterà - per gli oliveti e l’olio reale - ciò che è successo, soprattutto per il mio merito (l’immodestia l’è bonna...), alle vigne ed ai vini della nostra Patria.
Sono infatti convinto che partire - come fa l’esimio professore - con l’idea di adeguare le strategie colturali e la geometria della campagna per favorire l’economia di mercato con prezzi che siano concorrenziali con quelli di altri paesi, faccia un danno enorme alla nostra olivicoltura.
La sperimentazione puntata ad ottenere un prodotto quantitativamente superiore e a costi più bassi, trascurando la qualità - qui, da noi, con le nostre colline, le montagne, le esposizioni, quant’altro -non è più sperimentazione, è - mio il parere libero e fazioso - una vaccata.
Il professore - pensa tè - vorrebbe, con un colpo di bacchetta magica, eliminare i privilegiati pendii, le colline e le montagne e portare tutte le colture olivicole in pianura, piantare cultivar nate in laboratorio e con sesti di impianto comodi coltivati a monòcono.
Gran genio! Si utilizzerebbe così la potatura e la raccolta meccanizzata. Quel suo cultivar, bastardo quant’altri mai, non terrebbe conto del sistema pedoclimatico delle nostre zone, della consistenza dei terreni, e, peggio ancora, delle tradizioni e della tipicità dei luoghi dove vengono messe a dimora.
Non è producendo di più e a costi più bassi che si migliora la situazione olivicola italiana.
Così come è deleterio prendere ad esempio la Spagna, una nazione che non ha le 500 cultivar dell’Italia e che tende a produzioni monocordi, proprio per l’impossibilità di ottenere oli dai mille colori, profumi, sapori, caratteristiche organolettiche eccezionali come i nostri. Nessuna possibilità di concorrenza sul piano della qualità.
Un cosciente professore dal Centro Nazionale Ricerche, avrebbe l’obbligo di colpire le frodi più “eclatanti”.
Ad esempio quello tragico di concedere i contributi CEE per i quintali di olio prodotti (favorisce la produzione di oli di scarsa qualità) e non invece per pianta posseduta, risultante dal catasto terreni olivati.
Con ciò si alimentano i frantoiani truffaldini e si scardinano gli olivicoltori onesti. Le tecniche innovative devono limitarsi a forme più mirate di potatura, a forme di fertirrigazione, a completare gli oliveti con cùltivar autoctoni che danno un olio che rispetta la tipicità dei luoghi. Soprattutto tese a chiudere l’intera filiera di produzione all’interno della propria Azienda Agricola senza dover ricorrere agli enormi frantoi che mortificano la qualità dell’olio.
Ho letto con orrore la proposta del professor Fontanazza di mettere a dimora cultivar che abbiano una differente epoca di maturazione. Chiaro lo scopo: andare incontro alle esigenze dei grandi frantoi. Tutto al contrario. Il problema si risolve, non con l’impiano di cùltivar “mostruose”, bensì con l’eliminazione dei grandi frantoi, sociali e meno, e con l’istallazione di frantoi aziendali.
Proprio per questa insopprimibile tendenza e modernizzazione, sono varie le officine meccaniche che hanno in progetto e in produzione, frantoi piccoli (350 Kg/ora).
Last. La FS 17 del professore - come risulta da varie esperienze sul Lago di Garda - fa perdere la tipicità dell’olio gardesano, lontanissimo dalla cosiddetta tipicità d ogni cùltivar de lago.
Non bastasse, Sergio Perdini, famoso potatore benacense, ha rilevato che la conformazione della drupa (a ciliegia) fa si che vi sia un ristagno di acqua all’attaccatura del picciolo; il che provoca, in alcuni casi, la caduta della stessa.
In conclusione ribadisco: non sono i grandi numeri o la facilità di coltura a fare la qualità e quindi a migliorare la remunerazione del prodotto. Ogni Azienda Agricola chiuda invece, al proprio interno, l’intera filiera produttiva; raccolga a mano, ad invaiatura appena accennata, secondo cùltivar e franga nel più breve tempo possibile.
Si ripeterà - per gli oliveti e l’olio reale - ciò che è successo, soprattutto per il mio merito (l’immodestia l’è bonna...), alle vigne ed ai vini della nostra Patria.